Storia dell'Arpa - Daniele Belluco | Arpista

Vai ai contenuti

Menu principale:

L’Arpa Rinascimentale

Non è possibile datare con esattezza l’Arpa Rinascimentale poiché all’epoca vi erano molte corti e  il signore affidava ai propri artigiani la costruzione di strumenti ‘unici’ su ordinazione.
L’arpa assumeva molteplici aspetti  riguardo la struttura e la funzione per quale doveva essere usata;  poteva variare le misure, il numero e gli ordini di corde al fine di poter creare uno strumento  versatile e polifonico.
Non vi era quindi uno ‘standard’ di costruzione e non esistevano fondamenti organologici che potessero dare  arpe con sistemi simili tra loro. Ricercando fra vari documenti ho individuato un’arpa del XVI secolo, chiamata ‘Arpa Estense’, di cui purtroppo non è possibile datare né tantomeno conoscere  il costruttore. Ho riconosciuto come prototipo dell’arpa rinascimentale  questo strumento definito anche ‘arpa a due o tre ordini’.
Le prime notizie risalgono a un documento d’archivio di Adolfo Venturi che, a proposito dell’arpa Estense, nella monografia storica dedicata al museo modenese (1883), attribuirebbe  l’invenzione di tale strumento al noto Jean Le Pot di Amiens, citato da Pincherle nella sezione dedicata alla storia dell’arpa nella Francia del Rinascimento. Quest’ultimo scrive : “à Amiens le maitre luthier Jean Le Pot auquel Alphonse II d’este avait payé, en 1558, la somme considérable de 106 livres tournois”. Analogamente anche  R.Salvini  nel suo Itinerario della Galleria Estense (1955), indica per primo il nome del maestro francese per la costruzione dell’arpa estense (Salvini Itinerario p.14).
Incerta e dubbiosa risulta invece l’attribuzione della decorazione relativo allo strumento. In base a diverse fonti tra cui la monografia di F. Arcangeli e il volume illustrato sulla Galleria Estense pubblicato nel 1977 da G. Bonsanti, l’artefice sembrerebbe il pittore Sebastiano Filippi, detto il Bastianino, fra il 1555 e il 1560 circa.
La metodologia dell’esecuzione, la posizione del musicista, la dimensione dell’arpa, il numero e la disposizione delle corde sono assai diverse dalle arpe in uso oggi.
Lo strumento estense misura nella massima altezza 152 cm (compresi i fregi superiori), nella massima larghezza 50 cm, mentre la cassa di risonanza è lunga 135 cm e larga alla base 20 cm. Su quest’ultima si contano 55 fori disposti su tre file, di cui una centrale di 31 fori che si estende ininterrottamente dall’alto in basso, mentre le altre due, con 12 fori ciascuna, si affiancano rispettivamente a sinistra in alto rispetto a chi suona, e a destra in basso sovrapponendosi nella parte centrale. Questi fori costituiscono la sede dei bottoni che fissano l’estremità inferiore delle corde alla cassa di risonanza. Nella parte superiore, detta arco o mensola, le caviglie a cui si avvolgono le corde, simili a quelle che consentono di operare l’accordatura sugli strumenti a tastiera, sono ugualmente disposte su tre file: una centrale continua di 28 caviglie e due laterali, dimezzate e sfalsate, rispettivamente di 10 e di 11 caviglie.
L’unico sistema di alterazione delle note era l’intervento manuale da parte dell’esecutore sulla corda in budello. Vincenzo Galilei nella sezione del Dialogo della musica antica et della moderna, dedicata appunto all’arpa, testimonia che l’arpa a due ordini italiana derivava dall’arpa irlandese: “essere l’istessa di quella che da pochi anni indietro si è doppia di corde introdotta in Italia”.
Lo strumento è orientato in modo che le corde più  lunghe sono le più distanti da chi suona, dando cosi una maggiore estensione al braccio sinistro nel governare le corde gravi, mentre alla mano destra è riservata la regione degli acuti.
Pertanto risulta simile l’analogia con gli strumenti a tastiera per quanto riguarda la distribuzione delle mani. Il musicista, durante l’esecuzione, utilizzava solo il pollice, l’indice e il medio di entrambe le mani con la possibilità quindi di realizzare accordi di sei suoni.
Nonostante  la notevole evoluzione rispetto l’arpa semplice , soprattutto quella di poter eseguire composizioni ricche di cromatismi e non più limitate al classico schema diatonico, l’arpa a due ordini presentava uno svantaggio non trascurabile per troppo rigida delimitazione dei due ordini di corde; venne costruita, al fine di poter  agevolare gli esecutori, un tipo di arpa a tre ordini di corde, mantenendo una fila di corde al centro che fungevano da note cromatiche affiancate da altre due serie diatoniche complete a disposizione di ciascuna mano. Risulta evidente che il musicista per poter effettuare cromatismi doveva raggiungere le corde cromatiche passando attraverso quelle diatoniche.
Proprio questa sostanziale identità concettuale tra l’arpa a due ordini e quella a tre ordini di corde fece sì che si mantenesse anche per quest’ultima la denominazione iniziale; solo di rado si nominava arpa tripla.


L’Arpa Diatonica

L’utilizzo dell’arpa doppia rinascimentale, pur avendo rappresentato una novità  perché poteva eseguire cromatismi, venne abbondonato nei secoli successivi e sostituito da altri schemi costruttivi.
Per lo strumentista, le difficoltà di esecuzione erano rappresentate dalla troppa vicinanza dei due o tre ordini di corde: le dita facevano fatica a pizzicare la corda in spazi così ristretti. Inoltre la quantità di suono che usciva dallo strumento era assai limitata a causa dei frizzii delle corde e delle piccole dimensioni della cassa di risonanza.
Fino al 1700 furono fatti molti tentativi per migliorare le caratteristiche tecniche dello strumento al fine di poter agevolare il musicista nell’esecuzione migliorando pertanto anche il timbro sonoro.
Un traguardo fondamentale fu quello dell’invenzione della pedaliera, avvenuta nel 1720 a Donauwerth in Germania per opera di N. Hohbrucker, abile artigiano del suo tempo.
Prima di questa invenzione sull’ ‘arpa semplice’ non si poteva suonare che in un solo tono, ovvero nella tonalità in cui era accordata, senza poter modulare. Con l’innovazione della pedaliera si poté suonare in più tonalità.I primi strumenti avevano cinque pedali: il primo dava il Do#, il secondo il Re#,il terzo il Fa#, il quarto il Sol# e il quinto il Si#.
Intorno al 1740, Naderman inventò a Parigi un meccanismo per l’Arpa a pedali, detto a nottolini (crochets ) che rimase in vita per molti anni e del quale fecero uso alcuni celebri arpisti di quell’epoca, come Krumpholtz, Naderman (il figlio),Petrini, Meyer.
Questi nottolini, che agivano per mezzo dei pedali corrispondenti, erano fermati nel modiglione, e tirando il pedale, portavano la corda verso il modiglione stesso facendola alterare di mezzo tono.
Furono due liutai parigini, i Cousineau, nel 1760, a perfezionare il meccanismo dei pedali, applicando il sistema a ‘uncinetto’ (bequilles), che si rivelò molto più pratico dei precedenti e che si basava sull'azione del pedale su un tirante, che tramite una serie di leve esercitava una azione di trazione sugli uncinetti e grazie a questi ultimi la corda veniva trascinata sui capotasti supplementari.
Questi strumenti avevano una estensione di cinque ottave: quattro o cinque corde della prima ottava bassa erano di seta fasciata d’alchime, le altre di budella di montone. Tali arpe erano ordinariamente accordate in Micon una estensione progressiva di tonalità al Mi magg.
Alcune volte si usava anche accordarle in La a seconda della comodità di esecuzione. L’Arpa ebbe un’importante miglioria verso il 1786, quando Sebastiano Erard, noto anche per la costruzione di pianoforti apprezzati da molti musicisti famosi quali Beethoven, Chopin, Fauré, Haydn, Herz, Liszt, Mendelssohn, Moscheles e Verdi, inventò a Parigi il meccanismo a rotelle (fourchettes).
Queste rotelle a ‘forchetta’, come i nottolini, agiscono per mezzo di sette tiranti nella colonna attaccati all’estremità superiore ai pedali, accorciando le corde corrispondenti allo stesso nome del pedale  e alzandole di mezzo tono.
Questo meccanismo  fa girare e comprime la corda  fra due alberini, in modo che essa rimanga nello stesso posto. Questa novità dava molta sicurezza all’arpista che ritrovava la nota alterata sempre nello stesso punto migliorando la pulizia del suono e la facilità di esecuzione.  
Il sistema risultava sicuramente più efficace ed esatto rispetto a quello a nottolini. Rimaneva da risolvere  il problema della modulazione a tonalità lontane.

Verso il 1792 Erard si traferì in un immobile nella Great Marlborough Street di Londra per sfuggire alla Rivoluzione francese.

Nel 1811 a Londra, Erard presentò la sua ‘arpa a doppio movimento’. Essa aveva una estensione di corde pari alla precedente, ovvero sei ottave formate da corde d’alchime e di budello, ed i tiranti passavano sempre lungo la colonna dell’arpa fino a giungere ai pedali; l’innovazione fu quella di inserire due file di rotelle a forchetta sul modiglione, una per il naturale e l’altra per il diesis. Lo zoccolo dello strumento presentava due incavi in modo da fermare la corda alterando così ogni nota di due semitoni (Do,Do nat. ,Do#).
Alcuni modelli di arpe Erard furono costruite con l’aggiunta di un ottavo pedale che azionava degli sportelli, detti ‘soupapes’ posti nel retro-cassa dello strumento. Tale pedale apriva e chiudeva i fori di risonanza creandoparticolarieffetti sonori  e poteva smorzare il suono in maniera efficace durante l’esecuzione del pezzo.
L’arpa ebbe altri miglioramenti notevoli grazie sempre alla rinomata liuteria Erard che era conosciuta ormai  come la prima in grado di costruire arpe di alta professionalità.
Nel 1832 Erard stesso, presentò sul mercato un nuovo prodotto, chiamato ‘Arpa Gotica’, la quale aveva dimensioni maggiori rispetto alle precedenti , un’estensione di sei ottave più tre corde e una distanza maggiore fra una corda e l’altra. Migliorò anche la cassa armonica, acquistando suono nella parte grave grazie a cinque corde con anima d’acciaio ugualmente fasciate di seta e avvolte di fili di rame e tutte le altre in budello.
Una particolarità di queste arpe era la loro decorazione: esse presentavano stucchi dorati e intarsi nella parte della colonna e dello zoccolo, soprattutto nella zona del capitello, rendendole delle vere e proprie sculture. In quel periodo si affermarono anche altre aziende in Inghilterra e in Francia, tra cui Meyer, Erat, Challiot, Domeney, Serquest, Grojeand… e diedero alla luce arpe di notevole prestazione e valore.
Fra le citate fabbriche è da ricordare Challiot che si distinse specialmente nella costruzione di certe arpe di piccolo formato a doppio movimento, secondo il sistema Erard; uno strumento riservato soprattutto ai giovani principianti.
Possiamo trovare anche oggi arpe Erard di tre modelli,  43, 46 e 47 corde ancora funzionanti.
Dal periodo di Erard, l’arpa non ha subito grosse innovazioni a livello costruttivo. Grazie alle nuove tecnologie sono state migliorate le parti meccaniche attenuando notevolmente i rumori di spostamento dei pedali. La parte lignea viene costruita generalmente con legno d’acero stagionato, ad eccezione della tavola armonica che è di abete finissimo.
Dallo ‘zoccolo’, nel quale sono praticati i sette incavi per i pedali, s’innalza quasi verticalmente la ‘colonna’ con ‘capitello’ ove si inserisce il ‘modiglione’ che in forma di S distesa raggiunge il ‘gomito’, dal quale parte la ‘tavola armonica’ ed il ‘corpo sonoro’ ricongiungendosi allo zoccolo. Questi innesti e collegamenti fra le parti, creano un singolare ‘circolo’: il suono scaturisce dalla corda ma attraversa tutte le zone dello strumento assommando gli armonici di tutte le altre corde che vibrano per simpatia simultaneamente. Ecco perché tutte le parti devono coincidere e incastrarsi fra loro per non ostacolare il flusso delle vibrazioni.
Alcune arpe hanno un ottavo pedale, detto ‘smorzatore’ , che aziona una sordina. Essa ferma la virazione delle corde di metallo con un piccolo pannello di feltro.  
Per aumentare la quantità di suono dello strumento, alcuni liutai hanno aumentato il corpo sonoro allargando con ‘ali’ la parte bassa della cassa armonica. Hanno reso la stessa più resistente e potente attraverso l’inserimento delle ‘catene’ interne.
Nello zoccolo vi sono sette pedali d’ottone, corrispondenti alle sette note musicali: si, do, re, a sinistra dell’esecutore e mi, fa, sol, la alla sua destra.
I pedali azionano sette tiranti di ferro che, passando dalla colonna si avvitano all’estremità superiore alle leve d’acciaio rinchiuse nel quadrante d’ottone sottostante il modiglione. Queste leve agiscono su perni mobili collegate con le forchette esterne, comprimendo la corda e alterandola di mezzo tono o di un tono. Sopra alle rotelle vi sono dei capotasti d’ottone che tengono fissa la corda; nel modiglione stanno anche i pironi d’acciaio dove le corde vengono tese ed accordate .



Torna ai contenuti | Torna al menu